Italian Fashion: ripartire creando fiducia e potere d’acquisto

Intervista a Renato Borghi, Presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio

“Il comparto retail, già influenzato dalla concorrenza del web è una tra le principali vittime del Covid-19. Per far riprendere il settore servono contributi a fondo perduto e una liquidità pronta e veloce, oltre ad una necessaria riforma fiscale, per la tenuta del mercato. Le banche devono poi essere al servizio di tutti coloro che fanno impresa e non soltanto di chi può già permetterselo. Resta, infine, quanto mai urgente una seria riflessione sui tempi della moda e sui rapporti di filiera, nell’interesse superiore del ‘Made in Italy”’

Renato Borghi, Presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio

Come immagina il futuro della moda italiana dopo il Covid- 19? Quali le priorità?

“La moda sta affrontando a livello globale un momento di grande difficoltà: la crisi economica in atto, acuita dalla pandemia e dal prolungato stop alle produzioni e alle forzate chiusure dei negozi, ha visto l’Italia, con le sue produzioni di qualità ed artigianali, gli stilisti, le collezioni, le fashion week, le manifestazioni fieristiche internazionali e la distribuzione, rivestire un ruolo di primo piano nel dibattito sul futuro del fashion. Stiamo vivendo tre grandi evoluzioni: l’ammodernamento anche digitale degli store fisici, l’ampliamento dei canali d’acquisto online tra e-commerce, marketplace e social network, la sostenibilità con una particolare attenzione all’impatto etico-ambientale su tutta la filiera. Ne è esempio, il ripensamento dei tempi della moda in un’ottica “slow”, tema peraltro avviato durante il covid da Giorgio Armani, con un ritorno a ritmi più consoni alle modalità di consumo. In questo contesto, però, il retail soffre e le nostre stime prevedono una perdita complessiva di 15 miliardi di euro di consumi nel nostro settore a fine anno, che potrebbe comportare la chiusura definitiva di 17 mila punti vendita in Italia con conseguente ricaduta su 35 mila addetti”.

Quali potrebbero essere le strategie economiche da adottare per rimettersi in marcia?

“Rimettersi in marcia sarà possibile attraverso l’innovazione, i servizi, la comunicazione e, soprattutto, la formazione, perché vendere moda oggi richiede, oltre al bagaglio di competenze ed esperienze del passato, anche nuovi skill. In questo contesto i giovani possono rappresentare un’opportunità per le aziende e un’occasione per le nuove generazioni. Il retail deve puntare su nuovi servizi, tenendo anche conto delle innumerevoli informazioni di qualità che hanno gli operatori commerciali sui propri consumatori. Nessun CRM può possedere e nessun algoritmo potrà elaborare una tipologia di informazioni del genere. Naturalmente è indispensabile che tornino a crescere di giri i due motori: il sentiment o clima di fiducia e il potere d’acquisto attraverso la crescita del reddito disponibile netto, che non dipendono dalle scelte degli imprenditori, ma da fattori esterni economici e geopolitici. Pensiamo, però, che un futuro ci sarà sempre per il dettaglio moda, se non altro per le specificità tridimensionali del negozio, relazionali e di servizio “su misura”, che possono offrire particolarmente le imprese più piccole e vicine al cliente”.

In che modo lo Stato dovrebbe sostenere il settore?

“Le nostre imprese chiedono di fare impresa, non carità. Le misure nei decreti “Cura Italia”, “Liquidità” e “Rilancio” sono state una risposta d’emergenza e di sussistenza. In particolare, quelle che abbiamo chiesto a gran voce, come l’estensione della cassa integrazione al commercio al dettaglio ed anche ad aziende con un solo dipendente e del FIS alle imprese del commercio da 5 addetti; contributo a fondo perduto nel mese di maggio; liquidità senza merito creditizio con restituzione a 10 anni per importi fino a 30mila euro; proroga dei versamenti contributivi e fiscali al 30 settembre con possibilità di rateizzazione del 50% nel 2021; annullamento del saldo 2019 e acconto IRAP; credito d’imposta del 60% per le locazioni commerciali e del 30% all’affitto di azienda; la soppressione clausole di salvaguardia che avrebbero comportato l’aumento dell’IVA; l’attenzione per i pagamenti degli avvisi bonari e ai titoli di credito. Non parlo dell’indennizzo di marzo e aprile di 600 euro perché è sembrato perfino offensivo. Un momento straordinario, però, esige risposte straordinarie. Per rilanciare la nostra economia serve una visione di medio-lungo termine: servono investimenti in innovazione e infrastrutture; occorre una vera riforma fiscale; è utile far ripartire i lavori pubblici. Sburocratizzare dovrà poi essere la parola d’ordine per il sistema delle imprese perché è assurdo che un’impresa italiana debba impiegare 30 giornate lavorative all’anno per assolvere agli adempimenti fiscali; occorrono infatti 238 ore l’anno, circa 100 ore in più (pari a 13 giornate lavorative) rispetto alla media dei Paesi dell’Area Euro. Auspichiamo, infine, di veder premiati i nostri sforzi, con l’estensione al commercio dell’art. 48-bis della legge di conversione del ‘DL Rilancio’ sulla svalutazione dei magazzini, che prevede la concessione di un credito di imposta del 30% ai prodotti rimasti invenduti a causa del Covid”.

INTERVISTA COMPLETA NELL’ULTIMO NUMERO DI AZ FRANCHISING – SCARICA

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